Cito Rizzari/Gentili dal relativo e rilassante blog ( fortuna nostra/fortuna loro, l’ansia da opinione non li avvelena): “Diversi colleghi,italiani e stranieri, richiamano ormai con forza i produttori a un’elementare esigenza di autenticità e immediatezza. E noi da anni ormai, abbiamo impostato il lavoro di assaggio per la guida seguendo una direttrice chiara, quella di valorizzare la naturalezza espressiva, e quindi la bevibilità, in tutti i vini, dai più monumentali ai più semplici; stanchi di sentire l’assaggiatore medio che giustifica queste discrepanze con la trita frase “degustare è una cosa, bere un’altra”.
E ancora:”Occorreva quindi rimodulare la tecnica di assaggio, e soprattutto i criteri di giudizio finale, per armonizzare la valutazione “tecnica” con quella “edonistica”.
Cito di nuovo Rizzari/Gentili. Questa volta dall’introduzione (largamente condivisibile) dell’ultima Guida de L’Espresso. “Infine, ma non da ultimo, se cambia il mondo della produzione, non si vede perché non debba cambiare il giornalista che rende conto di questo cambiamento”.
Giusto, giustissimo. Io però aggiungo. La degustazione e i giudizi che ne conseguono, per quanto credo di aver capito del mio lavoro, scorrono attraverso il filtro dell’esperienza e di una pratica consolidata seguendo un percorso come detto non immutabile, ma che deve essere il più naturale e il più fluido possibile, quasi automatico.
Ogni bivio, ogni possibilità di scelta che noi dall’esterno aggiungiamo toglie naturalezza e apre le porte all’arbitrarietà. Il rischio, in altre parole ( vedi l’autoctono a altre cose passate e future), è che il meccanismo di cui siamo allo stesso tempo padroni e ingranaggi si pieghi più alla necessità di dire qualcosa di diverso che non all’utilità.
Dall’editoriale di Alessandro Masnaghetti sul n. 21 di Enogea.