Se fossi stato certo di non essere male interpretato avrei preferito non scrivere questo editoriale o addirittura lasciare in bianco questo spazio.
La pochezza di molti commenti all’affaire Montalcino, la goffaggine con cui è stato gestito e la straordinaria reazione immunitaria del sistema vitivinicolo italiano sono stati infatti disarmanti.
Così come disarmanti, per semplicità, sono anche i termini della questione ( o almeno quelli cardine).
Un disciplinare non rispettato, in qualsiasi misura, richiede – se il fatto è accertato- una sanzione adeguata. Sanzione che coinvolge chiaramente il singolo, o i singoli, e non l’intera comunità ( a meno che i singoli non diventino la maggioranza).
Chiarito questo punto è però bene chiarirne un altro. Il mondo delle denominazioni è regolato dai disciplinari di produzione e questi disciplinari sono espressione dei produttori, e dei produttori soltanto.
Nel caso decidessero quindi di modificare un disciplinare nel rispetto delle leggi, non sarebbe un diritto della stampa e dei consumatori, come invece alcuni sostengono, pretendere un vino fatto con un’uva piuttosto che con un’altra, così come non sarebbe nostro diritto pretendere un’automobile a quattro ruote nel caso la FIAT decidesse di produrne soltanto con sei.
Abbiamo però il diritto, questo sì, di protestare, anche con forza, e avremmo soprattutto il diritto di decretare con le nostre scelte, il successo o il fallimento di quel determinato progetto.
Questa è la regola. Una regola che richiede però trasparenza e coraggio delle proprie azioni da parte dei produttori e di chi li rappresenta.
(Dal n. 18 di Enogea II serie)